Nella gestione di un gruppo di lavoro sarebbe comunque auspicabile, nell’ottica di un buon coordinamento delle risorse, provvedere a regolamentare anche l’eventualità di una relazione tra colleghi. La soluzione preferibile (e quella adottata anche dalle cosiddette caring companies, ove viene ricercato il pieno equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle aziendali) sarebbe quella di redigere un regolamento aziendale che prescriva il dovere di informare della relazione, precisando che le finalità perseguite dal datore sono quelle di evitare che si possano creare situazioni di conflitto di interesse e che persone sentimentalmente legate lavorino nello stesso ufficio o sulla stessa commessa. Una relazione, del resto, pur non essendo un dato sensibile è certamente un’informazione privata. Nel caso, dunque, sia espressamente previsto da una policy interna, il datore di lavoro può pretendere di sapere se vi siano legami sentimentali tra colleghi all’interno della azienda, ma le ragioni per conoscere tale circostanza non possono rinvenirsi nella semplice curiosità, essendo opportuno che l’obbligo di informativa sia legato, e in un certo senso limitato, a questioni di natura etica, organizzativa e/o produttiva. In parole semplici, l’azienda può decidere di evitare che vi sia un soggetto sentimentalmente legato ad un altro che decida per conto del primo, ad esempio, su eventuali avanzamenti di carriera, sul pagamento di bonus, ecc.; così, allo stesso modo, sembrerebbe legittimo che il datore di lavoro, venendo a conoscenza dell’informazione, voglia scongiurare potenziali frizioni sul lavoro tra i partner ed altri dipendenti dello stesso gruppo di lavoro (a causa ad esempio di gelosie, invidie, chiacchiere, ecc.). In tali descritte circostanze, allora, è certo che la tutela della privacy sulla vita personale della risorsa possa cedere il passo ad oggettivi interessi datoriali e aziendali, soprattutto quando si tratta di persone legate anche da un rapporto gerarchico, in quanto il datore ha tutto l’interesse a gestire i propri dipendenti in modo tale da garantire, da un lato, trattamenti imparziali e, dall’altro, la conoscenza su fatti che possano determinare delle inefficienze organizzative o produttive.
Discorso diverso sarebbe, invece, quello di imporre al lavoratore di esporre all’azienda fatti legati alla sua sfera sentimentale in assenza di possibili ingerenze della relazione nella vita professionale dei due soggetti. Così come altrettanto distinti sono i casi in cui vi siano rapporti “occulti” che sfociano in mobbing, nepotismi o discriminazioni determinati dalla presenza di un rapporto sentimentale “tossico” sui luoghi di lavoro: in tali gravi casi, ormai diffusissimi, il datore di lavoro potrebbe essere ritenuto responsabile per eventuali danni patrimoniali e non patrimoniali causati in occasione della relazione. Per non parlare poi delle conseguenze di una storia sentimentale che potrebbe determinare la scelta di un dipendente di portare in tribunale l’azienda per avere subito discriminazioni, interruzioni di carriera, trasferimenti improvvisi, ecc., dopo la fine della relazione.
In tutti questi casi il compito dell’HR aziendale, coadiuvato dall’avvocato, è quello di analizzare la situazione ed evitare ritorsioni o emarginazioni di una parte cercando di agire in anticipo e prima che la situazione degeneri ed è questo ciò che cerchiamo di consigliare ai nostri clienti: trasparenza ed organizzazione affinché possano essere egualmente tutelate l’impresa ed il capitale umano della stessa.