La sentenza in epigrafe ha di fatto statuito che l’influencer che promuove in via stabile e continuativa i prodotti di un’azienda online deve essere inquadrato come agente di commercio. Non è, peraltro, necessario che gli influencer si rivolgano individualmente ai propri followers per incoraggiarli all’acquisto per essere considerati agenti di commercio: l’agente non è tenuto a cercare direttamente i clienti e la “zona determinata” in cui opera non è solo quella geografica. L’importante è che la sua attività sia finalizzata alla conclusione degli affari per i quali viene remunerato e sia svolta in modo stabile e continuativo.
Approfondendo il caso in esame, una società attiva nel settore della vendita online di integratori alimentari è stata sottoposta ad un’ispezione, dalla quale è emerso che i contratti degli influencer che lavoravano per conto di tale impresa presentavano similitudini con i contratti di agenzia ex art. 1742 e ss. c.c., e quindi dovevano essere soggetti ai relativi contributi previdenziali. L’ente ispettivo ha contestato alla società l’omesso pagamento dei contributi al Fondo Previdenza e al Fondo Indennità Risoluzione Rapporto, con l’applicazione delle relative sanzioni. La società, dal canto suo, ha contestato quanto emerso durante l’ispezione e, ritenendo che i rapporti in questione non fossero contratti di agenzia, ha sostenuto che gli importi richiesti non fossero dovuti. Il Giudice adito, aderendo alle tesi dell’ente, ha allora sottolineato come, nel caso di specie, ricorressero gli elementi della stabilità e continuità dell’attività promozionale, elementi evidenziati dalla natura del contratto a tempo indeterminato e dal pagamento regolare delle provvigioni. Da tali elementi, secondo il Tribunale di Roma, è emersa la stabilità dell’obbligo dell’influencer di attivarsi per orientare le scelte di consumo dei propri followers. Al proposito, il giudice ha precisato, poi, che “risulta irrilevante che l’influencer non sia destinatario di direttive ed istruzioni, atteso che il mercato in questione, nel mondo web, è altamente standardizzato, l’acquisto si effettua con un “click” e le condizioni di vendita sono fissate una volta per tutte”. Tale attività non poteva dunque dirsi lasciata alla libera iniziativa personale dell’influencer e non poteva pertanto essere ricondotta alla figura del procacciatore d’affari. Il fatto, poi, che i contratti in questione non prevedessero una zona, intesa come area geografica, è stato invece ritenuto irrilevante. In particolare, la promozione digitale all’interno di una specifica community di followers è stata ritenuta quale elemento assimilabile a una precisa zona, determinata proprio dalla stessa comunità presa in considerazione. Nemmeno, infine, è stata ritenuta rilevante l’assenza di relazioni dirette tra l’influencer e i propri followers, in virtù delle caratteristiche del web quale mercato altamente standardizzato.
In conclusione, secondo il Tribunale di Roma, l’attività degli influencer può essere ricondotta a quella dei rapporti di agenzia o di procacciamento d’affari. L’inquadramento giuridico in una delle due categorie dipenderà, come precisato dalla giurisprudenza, dalla presenza di stabilità nel rapporto: nello specifico dunque, se la collaborazione con l’influencer risulta essere, nel caso concreto, stabile e continuativa, il contratto dovrà essere considerato come un contratto di agenzia.