Venendo al caso in esame, il lavoratore protagonista della vicenda aveva impugnato giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giusta causa dal proprio datore di lavoro.
A fondamento della propria domanda, il lavoratore deduceva: (i) di aver subito un primo trasferimento dichiarato giudizialmente illegittimo, con ordine di ripristino del rapporto di lavoro presso la sede originaria, (ii) di essere stato reintegrato nella precedente sede con ingiustificato ritardo di circa un anno e infine (iii) di essere stato vittima di una serie di ulteriori condotte vessatorie, quali la sollecitazione rivolta dal superiore gerarchico ai colleghi di segnalare tutte le sue possibili mancanze.
Dopo che, però, la Corte d’Appello accertava la nullità del licenziamento ritenendolo ritorsivo, la Cassazione ha ribaltato sostanzialmente la pronuncia di merito. Sul punto, la Suprema Corte ha dapprima rilevato che l’accoglimento della domanda di nullità del licenziamento perché fondato su motivo illecito esige la prova che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto: nella giurisprudenza di legittimità si è difatti più volte sottolineato che il licenziamento per ritorsione è considerato nullo “quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l’unico determinante dello stesso, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1418, secondo comma, e degli artt. 1345 e 1324 c.c.” (cfr. ex multis Cass. 17087/2011). Dopodiché lo stesso Collegio ha ribadito che l’onere della prova dell’esistenza di un motivo di ritorsione del recesso e del suo carattere determinante la volontà negoziale graverebbe in ogni caso sul lavoratore, che può assolverlo anche mediante presunzioni ed anche dimostrando l’inesistenza di diversi motivi addotti a giustificazione del licenziamento.
In tal senso, dunque, ove il licenziamento venga irrogato, come nel caso in esame, a fronte di una condotta inadempiente di rilievo disciplinare, la concreta valutazione di gravità dell’addebito, nel senso della sproporzione della sanzione espulsiva, se pure può avere rilievo presuntivo, non può tuttavia portare a giudicare automaticamente e di per sé ritorsivo il licenziamento irrogato dal datore di lavoro.