Questo è quanto ha stabilito recentemente la Corte Suprema (ord. 28 34968/2022), precisando altresì che spetta al datore di lavoro, stante il suo dovere di assicurare che l’attività di lavoro sia condotta senza che la stessa risulti in sé pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, dimostrare che viceversa la prestazione si sia svolta, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili per l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore.

In particolare, un soggetto, in primo grado, agiva nei confronti del Ministero della Giustizia esponendo di avere lavorato dapprima presso l’Amministrazione penitenziaria e poi, dal 1981, presso l’Ufficio automezzi di Stato della Direzione Affari Civili, ove il personale era carente, al punto che i ritmi di lavoro cui egli era stato sottoposto risultavano insostenibili, mancando qualsiasi pianificazione e distribuzione dei carichi e dovendosi svolgere, in ambiente disagiato, mansioni inferiori e superiori ed al punto che, a partire dall’anno 2002 aveva maturato sintomi depressivi finendo per essere ritrasferito nel novembre 2000, in esito ad un accentuato malore, all’Amministrazione penitenziaria, patendo poi un infarto nel gennaio del 2001. Lo stesso, quindi, aveva richiesto su tali presupposti il risarcimento del danno biologico per violazione dell’art. 2087 c.c. e delle norme sulla sicurezza, oltre ai danni alla professionalità, insistendo in subordine per il riconoscimento dell’ascrivibilità della patologia cardio-vascolare a causa di servizio con accertamento del diritto al pagamento del c.d. equo indennizzo.

Giunti in Cassazione, gli Ermellini, distinguendo i predetti oneri probatori, hanno chiarito che il caso di specie riguardasse il cosiddetto “superlavoro”, in cui la nocività addotta consiste nello svolgimento stesso della prestazione.

Infatti, mentre lo svolgimento di un lavoro che non sia in sé vietato dalla legge rende fisiologico, e quindi non imputabile a responsabilità datoriale, un certo grado di usura o pregiudizio variabile sotto il profilo fisio-psichico a seconda del tipo di attività (le conseguenze pregiudizievoli per la salute in tali casi infatti sono coperte in via indennitaria dalla sola assicurazione pubblica), quando un lavoratore assuma che un’attività in sé legittima (l’impiego in un ufficio pubblico) si sia in concreto svolta secondo modalità devianti da quelle ordinariamente proprie di essa e che proprio da ciò sia derivato a lui un danno (richiedendone il risarcimento), quello di cui si chiede l’accertamento è l’inadempimento datoriale all’obbligo di garantire che lo svolgimento del lavoro stesso non comporti di per sé usura psicofisica connaturata all’esecuzione di quell’attività. Sta, poi, al lavoratore provare, seppur rigorosamente, solamente i fattori di rischio di quell’attività lavorativa evidenziata come logorante per sua stessa natura.