Con ordinanza n. 22643/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un riscontro ad un quesito che interessa chiunque usufruisca della L. 104/1992 e che spesso ci viene sottoposto nell’analisi di situazioni affini: in particolare, secondo il Collegio, è sempre possibile in concreto utilizzare i permessi retribuiti derivanti dalla suddetta normativa anche per attività diverse dall’assistenza diretta al familiare disabile. Come è noto, la L. 104/1992 è la normativa che regola l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. La norma si rivolge a persone con disabilità, definite dall’art. 3 del testo, e ai familiari che prestano loro assistenza. È stata concepita per garantire il rispetto della dignità umana e dei diritti di autonomia e inclusione sociale delle persone con disabilità, nonché per sostenere le loro famiglie. La normativa garantisce una serie di benefici ai familiari, fra i quali i principali sono: (i) due ore di permesso giornaliero e fino a 3 giorni al mese di permesso retribuito per i lavoratori dipendenti che assistono un familiare con disabilità grave (minorazione fisica, psichica o sensoriale), (ii) il congedo straordinario retribuito fino a un massimo di 2 anni per i familiari di persone con disabilità grave, (iii) la possibilità di richiedere trasferimenti o assegnazioni temporanee in sedi lavorative più vicine al domicilio della persona con disabilità e ancora (iv) la possibilità di usufruire di detrazioni fiscali per le spese di assistenza e per l’acquisto di veicoli o altri ausili necessari. In tale contesto, negli anni, è spesso sorto un contrasto fra lavoratori e datori di lavoro in merito ai contorni e ai limiti della suddetta assistenza da prestare al congiunto disabile: nello specifico, ci si è interrogati se l’assistenza dovesse essere esclusivamente di tipo diretto (come le attività correlate alla cura della persona e all’accompagnamento alle visite mediche) o se anche attività indirette fossero tutelate dalla normativa di riferimento. Nel caso, però, portato recentemente all’attenzione della Cassazione, quest’ultima ha fornito un’interpretazione significativa sul punto. Nello specifico, il datore di lavoro contestava al dipendente di non avere prestato alcuna assistenza diretta al nonno disabile nei giorni di permesso richiesti; così come era stato accertato che il lavoratore non avesse incontrato il parente nelle date indicate al datore di lavoro. Nel giudicare la fattispecie, allora, la Cassazione si è riferita al principio stabilito in una precedente sentenza (cfr. Cass. 19580/2019) secondo il quale ricadono nell’assistenza al congiunto anche tutte quelle attività indirette messe in atto nel suo interesse ed in sua vece. Il nodo della questione non riguarda, dunque, la presenza, nello stesso luogo e nello stesso momento, di chi presta assistenza e dell’assistito, afferendo invece il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile. Con la nuova ordinanza n. 22643/2024, la Corte di Cassazione ha pertanto giudicato illegittimo il licenziamento a carico del lavoratore che aveva ottenuto dei permessi per svolgere attività indirettamente funzionali alle necessità del parente disabile, come appunto, fare la spesa. Diverso, naturalmente, sarebbe il caso in cui venisse accertato l’abuso dei permessi concessi dalla normativa: in tal caso il licenziamento in tronco sarebbe del tutto giustificato.