Entro il 30.06.2022 i datori di lavoro hanno dovuto far fruire ai lavoratori tutte le ferie maturate nel 2020 e non ancora godute. Nel caso in cui ciò non si sia verificato, il datore di lavoro non solo è passibile di sanzioni amministrative, ma dovrà versare anche i relativi contributi entro il 20.08.2022 (tale obbligo contributivo è stato, peraltro, esteso anche ai permessi per ex festività e per riduzione di orario non goduti, c.d. ROL).
Ma cosa accade se le ferie non godute sono state tali per cause non imputabili al dipendente? Il tema è stato recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione. In particolare, nella vicenda in oggetto, la Corte territoriale aveva rigettato la domanda di una lavoratrice finalizzata ad ottenere la condanna dell’ex datore di lavoro, al pagamento dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute. La donna, in realtà, non aveva potuto fruire delle ferie perché in congedo obbligatorio per maternità, durato sino alla risoluzione del rapporto di lavoro, per sue dimissioni. Il giudice di merito, nello specifico, aveva respinto l’istanza della dipendente in quanto sussistente il divieto di monetizzazione delle ferie non godute a norma del D.L. 95/2012, art. 5, co. 8, convertito in L. 135/2012.
Incaricata della questione, la Suprema Corte, però, ha osservato che il divieto di monetizzazione delle ferie non è applicabile alla fattispecie in esame, poiché, prendendo in riferimento il periodo precedente le dimissioni, per la lavoratrice era stato impossibile fruire delle ferie, essendo stata in astensione obbligatoria per maternità. Difatti la donna non avrebbe in alcun modo potuto godere delle ferie nel suddetto periodo di congedo e ciò rende neutra la circostanza che la dipendente abbia poi autonomamente scelto di dimettersi per dar corso ad una nuova esperienza lavorativa. Dunque, nel caso in esame, la monetizzazione delle ferie non può essere preclusa dalla scelta operata dalla lavoratrice di recedere dal rapporto di lavoro con le dimissioni.
Il D.L. n. 95/2012 va letto, infatti, secondo i principi tracciati dall’art. 7, co. 2, della Direttiva CE 88/2003, come interpretato dalla giurisprudenza della CGUE: ossia, va riconosciuto il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie anche nel caso in cui l’impossibilità di fruizione delle stesse sia stata determinata dalla circostanza che la lavoratrice versasse nella situazione che (pre e post parto) impone l’astensione obbligatoria dal lavoro.