Tale è la conclusione alla quale si giunge esaminando un recente caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, controversia nella quale una lavoratrice, al termine del rapporto di lavoro, ricorreva giudizialmente al fine di sentire condannare la sua ex  datrice alla corresponsione di un quantum a titolo di indennità sostitutiva per le ferie non godute.

La Corte d’Appello accoglieva la predetta domanda, riconoscendo il diritto della ricorrente a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie per un numero preciso di giornate di lavoro. A fronte della predetta statuizione, il datore di lavoro si rivolgeva alla Cassazione, sostenendo che il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie si era prescritto in dieci anni anche in corso di rapporto di lavoro; in secondo luogo, il ricorrente richiamava la contrattazione collettiva applicabile, asserendo che il diritto all’indennità andasse ricollegato alla mancata fruizione di dette ferie “per esigenze di servizio”, esigenze che avrebbero dovuto essere provate dal lavoratore, essendo egli il soggetto che agiva in giudizio.

Investito dunque della questione, il Collegio, nel confermare la pronuncia di merito, ha rilevato innanzitutto che la legislazione comunitaria (con la Direttiva n. 2003/88) non assoggetta il diritto alla monetizzazione delle ferie ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del dipendente di tutte le ferie annuali spettanti alla data in cui detto rapporto è cessato. Per tale ragione, quindi, il riconoscimento di detto diritto può venir meno solo nel caso in cui il datore riesca a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite al dipendente e di aver messo lo stesso nelle condizioni per fruirne.

Con l’ordinanza n. 17643 del 20.06.2023, dunque, la Suprema Corte ha di fatto affermato il seguente principio di diritto: “La prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l’avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.

Non avendo rinvenuto quest’ultima circostanza nel caso di specie, la Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso proposto dalla società datrice, confermando la condanna del giudice di merito.