La Corte di Cassazione, nella sua pronuncia, ha di fatto voluto stigmatizzare, anche in ambito di diritto del lavoro, la gravità di una condotta come quella meglio descritta in epigrafe: indipendentemente, infatti, dalle circostanze in cui è stata commesso il reato e dal tempo trascorso dal fatto, tale accadimento è idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico.

La Corte d’Appello adita, per converso (e confermando l’orientamento del Tribunale), aveva infatti ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a un dipendente disponendone la reintegrazione sul posto di lavoro. I giudici di secondo grado evidenziavano che la condotta contestata al lavoratore (una condanna penale per violenza sessuale a carico di una minorenne in una discoteca) non poteva giustificare il provvedimento espulsivo impugnato, tenuto conto che il reato era stato commesso ben tredici anni prima e per una “sola” volta: tali circostanze facevano ragionevolmente prevedere che “il lavoratore non si sarebbe reso nuovamente responsabile di azioni analoghe”. In aggiunta, veniva sottolineato che la condotta addebitata al dipendente “non potesse avere rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela” poiché realizzatasi al di fuori dell’attività lavorativa.

Stravolgendo, però, l’intera visuale, gli ermellini hanno accolto il ricorso del datore di lavoro consolidando dei principi diametralmente opposti rispetto a quelli su cui le pronunce di merito si sono fondate, ritenendo tale tipologia di reato “in qualsiasi contesto sia commessa, secondo uno standard socialmente condiviso una condotta che per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico”. Peraltro, nel valutare la distanza temporale tra il fatto contestato e l’incidenza sul vincolo fiduciario, la Suprema Corte ha sottolineato come la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere presente il momento in cui il datore di lavoro era venuto a conoscenza del fatto stesso, mai comunicatogli in precedenza, oltre al fatto di aver completamente bypassato una disposizione del CCNL di riferimento applicato al rapporto di lavoro, nella quale la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso trovava fondamento nel caso di “condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario”.