La massima in epigrafe è il sunto di quanto dedotto dall’ordinanza della Suprema Corte del 13.06.2022, n. 18953, in merito ad un caso di compravendita immobiliare ove veniva celato dal promittente venditore, e successivamente accertato in seguito ad ispezioni presso la competente conservatoria, che l’immobile oggetto di preliminare era in realtà gravato da iscrizione di ipoteca in favore di un istituto di credito per un importo notevolmente maggiore rispetto al prezzo di vendita, con parte promittente venditrice che, peraltro, non era nemmeno comparsa dinanzi al notaio per la stipula del rogito definitivo.
All’esito dell’istruzione probatoria, il Tribunale accoglieva quindi le istanze e la posizione di parte promissaria acquirente legittimando la richiesta di recesso dalla compravendita ex art. 1385 c.c. con la conseguente condanna di parte convenuta a pagare all’attrice il relativo prezzo del recesso sancito. Giunti, poi, in Corte d’Appello, il Collegio rigettava il gravame e confermava la sentenza evidenziando che parte promissaria acquirente aveva ribadito (e dimostrato agli atti attraverso comunicazioni inoltrate al promittente acquirente) il proprio interesse al rispetto del termine, poi evaporato, fissato per la stipula del definitivo.
Ricorrendo in Cassazione, parte soccombente, con l’unico motivo d’impugnazione, ha allora denunciato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. la violazione degli artt. 1456 e 1457 c.c. deducendo che la Corte d’Appello non avesse operato alcuna valutazione in ordine alla gravità dell’inadempimento poiché la disciplina del recesso di cui all’art. 1385 c.c., in ipotesi di versamento della caparra confirmatoria, presuppone l’inadempimento colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente, obbligando il giudice (del merito) ad una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti al fine di stabilire quale di essi abbia fatto venire meno l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio.
Il ricorso, però, è stato rigettato ed anche l’impianto in diritto di parte ricorrente è stato del tutto smontato. È stato, infatti, escluso che la Corte d’Appello avesse omesso nella sua decisione qualsiasi opportuno incombente – ossia la disamina del fatto decisivo oggetto della controversia e la valutazione gravità dell’inadempimento ascritto alla promittente venditrice – perché in tali casi, si deve tener conto che, qualora, come nella specie, l’inadempimento sia totale e riguardi anche solamente una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto, non è necessaria alcuna specifica valutazione della gravità dell’inadempimento medesimo, essendo tale gravità implicita nella circostanza stessa dell’omesso adempimento.