L’aumento dei prezzi dell’energia e lo stato di incertezza causato dalle tensioni internazionali stanno coinvolgendo sia i consumatori che gli operatori del settore energetico, traducendosi spesso in iniziative che possono configurarsi come pratiche commerciali scorrette ovvero violazioni della regolazione normativa di settore. In queste settimane, abbiamo ricevuto a riguardo diverse segnalazioni dai nostri clienti per violazioni dell’art. 3 del D.L. “Aiuti bis” e per richieste di chiarimenti circa gli strumenti di recesso in capo al venditore e, più in generale, della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Andando più a fondo, innanzitutto, il D.L. “Aiuti bis” definisce alcune misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali. Per i contratti in corso nel mercato libero dell’energia elettrica e gas, l’art. 3 nello specifico prevede la sospensione delle clausole contrattuali che consentano modifiche unilaterali del prezzo dei contratti di fornitura di energia, e ciò sino al 30.04.2023. Fino alla medesima data, poi, sono stati definiti (co. 2) “inefficaci” i preavvisi comunicati per dette finalità prima dell’entrata in vigore del decreto, a meno che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate. Dalla suddetta casistica pertanto (e quindi risultano ad oggi pienamente efficaci), devono considerarsi escluse (oltre ai rinnovi veri e propri) le clausole che contengono le cosiddette evoluzioni automatiche delle condizioni economiche, trattandosi di modifiche/aggiornamenti delle condizioni già previste dalle condizioni contrattuali all’atto della sottoscrizione dell’accordo (seppur comportino un aumento dei corrispettivi determinati dal venditore, lo scadere o la riduzione di sconti).

Il tema più spinoso, però, riguarda le ipotesi risolutive: infatti, sul punto, abbiamo appreso di operatori che propongono offerte a prezzi superiori informando i loro clienti che, in caso di non accettazione, ricorreranno alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto in essere. In tali circostanze, rammentiamo che l’incremento dei prezzi può determinare non un caso di “impossibilità sopravvenuta” ma, al più, di “eccessiva onerosità” che, alle condizioni previste dall’art. 1467 cod. civ., autorizza il venditore a domandare al giudice la risoluzione del contratto. Ciò che, però, il venditore non può fare è ritenere di per sé risolto il contratto senza passare, come detto, da una pronuncia giudiziale e chiedere l’attivazione dei servizi di ultima istanza per la risoluzione contrattuale: quest’ultima condotta viola la regolazione in materia e sarà, quindi, passibile di contestazione meritevole di accoglimento.

Sempre riguardo alla medesima materia, infine, un ultimo inciso sul diritto di recesso: per i clienti di “piccole dimensioni” (domestici, bassa tensione, e altri usi elettrici e gas entro i limiti di 200.000 Smc), la regolazione dell’Autorità riconosce la facoltà di recesso in capo al venditore solo se (i) si tratti di contratti di mercato libero e se (ii) tale facoltà sia espressamente contemplata nel documento contrattuale, prevedendo un periodo di preavviso non inferiore a sei mesi.