Non ha diritto all’assegno di mantenimento la figlia già avviata all’esercizio della professione di avvocato che ha uno studio legale in locazione, è titolare di una ditta individuale e risulta proprietaria di due auto di livello. Questo quanto sancito dalla Cassazione nella sentenza n. 11472/2021 nel respingere il ricorso di una ex moglie e di una figlia contro la sentenza d’Appello che ha revocato loro l’assegno di mantenimento dell’ex marito. Quanto alle doglianze della figlia la Suprema Corte considera infondato il motivo di ricorso poiché dal materiale probatorio era emerso che la stessa, avvocato abilitato, fosse titolare di una ditta individuale, con un studio legale in locazione e proprietaria di due autovetture di un certo livello come un’Audi A2 e una Mercedes Classe A.
Dei figli abilitati alla professione di avvocato che chiedono il mantenimento ai genitori la Cassazione e i giudici di merito si sono occupati in diverse occasioni, ed anche nella nostra esperienza di Studio abbiamo esaminato casi analoghi.
Con l’ordinanza n. 5088/2018, la Cassazione ha però chiarito che nel momento in cui un figlio si laurea e si abilita all’esercizio della professione, occorre accertare, ai fini del riconoscimento del mantenimento in suo favore, che il mancato raggiungimento dell’autonomia economica non sia il frutto d’inerzia colpevole. Il diritto al mantenimento è giustificabile infatti solo nei limiti del tempo occorrente e necessario, nella media, ad inserirsi nel mondo del lavoro, non certo per tutto il corso della vita del figlio. Nel decreto n. 301/2020 del Tribunale di Firenze, è stato difatti negato il mantenimento ad un avvocato di 35 anni che, dopo essere stato bocciato a diversi concorsi, è tornato a vivere con la madre perché non riusciva a mantenersi da solo. Per il giudice, in tale circostanza, non è stata ritenuta giustificabile l’inerzia del ragazzo, perché mentre cercava di costruire la sua professione ben avrebbe potuto accettare anche lavori precari per non pesare troppo sui genitori. La stessa linea interpretativa è stata quella seguita dalla Cassazione n. 29779/2020, che ha stigmatizzato l’inerzia del giovane che invece di aspettare il lavoro perfetto e in linea con il suo percorso di studi ben avrebbe potuto adoperarsi per cercare un impiego in base alle opportunità offerte dal mercato, magari anche ridimensionando le proprie aspirazioni personali.
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