In particolare, le eventuali fotografie a corredo della relazione hanno l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2712 c.c. e, anche ove disconosciute espressamente, possono essere comunque utilizzate dal giudice, che può accertarne la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni: questo è il principio che recentemente è stato ribadito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 4038/2024) sulla scia di una giurisprudenza sul punto ormai ritenuta costante.
Nel caso in esame, entrando nello specifico, uno dei due coniugi (la moglie) proponeva ricorso per cassazione, lamentando l’illegittima attribuzione di rilevanza probatoria data dai giudici di merito alle relazioni investigative prodotte dalla controparte (il marito), le quali avrebbero costituito prove a tutti gli effetti solo a condizione che l’investigatore fosse stato escusso nel contradditorio fra le parti (cosa che non era avvenuta in giudizio). Respingendo il ricorso, però, la Corte di Cassazione ha chiarito il principio sopra anticipato ed argomentato la propria decisione ponendo in luce come la relazione scritta redatta da un investigatore privato sia stata utilizzata dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, e sia stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti. A completamento, poi, della propria valutazione, la decisione in commento – dopo aver ripercorso la propria giurisprudenza in materia di presupposti della declaratoria di addebito della separazione – ha reputato, quindi, correttamente motivata la decisione assunta nei precedenti gradi, avendo i giudici esaminato le complessive istanze istruttorie e valutato in modo congruo le molteplici circostanze di fatto, atte a deporre per il carattere adulterino della relazione intrapresa dalla moglie, giungendo così ad una statuizione circa il diretto nesso di causalità tra la stessa e l’irreversibilità della crisi coniugale. La situazione, peraltro, non era stata inficiata dalle circostanze dedotte in merito dalla moglie in ordine ad una preesistente crisi, dalle quali la Corte di appello aveva desunto piuttosto la volontà di conservare il rapporto superando le difficoltà: l’intenzione di separarsi era stata, infatti, manifestata dal marito nel giugno 2016 e, solo successivamente e poco dopo, dalla moglie, sicché, prima di questo periodo, non era dato desumere quell’irreversibilità della crisi, pur preesistendo alcune criticità del rapporto coniugale, che avrebbe giustificato un ben diverso apprezzamento dei dati acquisiti.
Del tutto coerentemente ed esaurientemente, pertanto, la Corte d’Appello, a giudizio degli Ermellini, ha operato una valutazione del comportamento complessivo dei coniugi, ai fini del riconoscimento dell’addebito e anche con riferimento alla distribuzione dell’onus probandi. In particolare, la Corte territoriale ha tenuto conto sia delle criticità del rapporto preesistenti, sia dei fatti accertati a carico della moglie sul perdurare del vincolo matrimoniale e ha escluso che le circostanze addotte dalla stessa fossero state la causa scatenante della crisi coniugale, in modo irreversibile, sicché la relativa valutazione, espressa con motivazione non incongrua, non può essere sindacata in sede di legittimità, tendendo a un inammissibile riesame del merito.