Con una pronuncia del 2021 (Ord. 18783/2021), la Suprema Corte ha ritenuto responsabile il Ministero degli Affari Esteri dell’invio di due comunicazioni via Pec dirette agli uffici di un Istituto scolastico che, sebbene avessero la finalità di recuperare un credito nei confronti di una dipendente dello stesso istituto, avevano rivelato informazioni personali relative ad un contenzioso intercorso con il Ministero, nel quale la dipendente era risultata soccombente e tenuta al pagamento delle spese di lite. In tal modo il Ministero utilizzando un canale di comunicazione istituzionale e con le modalità in concreto adottate, ha posto in essere un trattamento in violazione degli obblighi di rispetto della riservatezza gravanti sulla stessa Amministrazione, perché il dirigente scolastico ed il personale di segreteria addetto alla ricezione della corrispondenza avevano avuto accesso a delicati dati personali della dipendente.

La Suprema Corte, nello specifico, fa riferimento al noto principio che le misure necessarie ai fini dell’attività di recupero crediti, sia che si realizzino direttamente a cura del creditore, sia che vengano attuate nel suo interesse da terzi, si svolgano nel rispetto dei principi di liceità, correttezza e pertinenza, evitando comportamenti che possano ledere la riservatezza del debitore in merito alle sue vicende personali. Tale assioma, difatti, è stato emanato proprio per contrastare l’esistenza di alcune prassi finalizzate al recupero stragiudiziale dei crediti, caratterizzate da modalità di ricerca e di presa di contatto invasive e, talora, lesive della riservatezza e della dignità personale.

Tra le altre cose, la Cassazione ha puntualizzato inoltre che il trattamento dei dati personali del debitore, nell’ambito dell’attività di recupero crediti deve rispettare una serie di canoni (cfr. art. 5 GDPR). In particolare, (i) il principio della liceità nel trattamento, che può ritenersi violato, ad esempio, dal comportamento consistente nel comunicare ingiustificatamente a soggetti terzi rispetto al debitore (quali, ad esempio, familiari, coabitanti, colleghi di lavoro o vicini di casa), informazioni relative alla condizione di inadempimento nella quale versa l’interessato; (ii) il principio di correttezza nel trattamento, in ragione del quale devono ritenersi preclusi, sia in fase di raccolta delle informazioni sul debitore, sia nel tentativo di prendere contatto con il medesimo (anche attraverso terzi), comportamenti suscettibili di incidere sulla sua dignità, qui riguardata sul solo piano della disciplina di protezione dei dati personali (canone da ritenersi violato quando le sollecitazioni di pagamento siano portate a conoscenza di persone diverse dal debitore, come può accadere nel caso di utilizzo di cartoline postali o tramite l’invio di plichi recanti all’esterno la scritta “recupero crediti” o locuzioni simili); (iii) il principio di pertinenza e finalità in ragione del quale possono formare oggetto di trattamento i soli dati necessari all’esecuzione dell’incarico, con particolare riferimento ai dati anagrafici riferiti al debitore, codice fiscale (o partita Iva del medesimo), ammontare del credito vantato (unitamente alle condizioni del pagamento) e recapiti (anche telefonici), di norma forniti dall’interessato in sede di conclusione del contratto o comunque desumibili da elenchi o registri pubblici.

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